Barile artista intervista

Angelo Barile

Per cominciare, tre aggettivi con cui descriveresti l’artista Angelo Barile.

Testardo, ironico, imprevedibile.

 

Come e quando sei approdato nel mondo dell’arte?

Ho iniziato il mio percorso a metà degli anni novanta, partecipando ad alcune collettive con l’Over Studio di Torino. In realtà però, professionalmente, è dal 2005 che mi dedico a tempo pieno all’arte.

 

Nella tua arte, sono arrivati prima i muri o le tele? Come riesci a spaziare tra supporti così differenti tra loro? Qual è la difficoltà più grande ?

In realtà, pensandoci bene, ho iniziato con i muri. Nel 1973 la mia professoressa di arte mi suggerì di dipingere uno dei muri interni della scuola media che frequentavo, grande circa 12 metri: decisi così di raffigurare enormi onde marine, utilizzando dei gessetti colorati.

Su invito della mia professoressa, vennero addirittura alcuni professori dell’Accademia a visionare quel muro, una soddisfazione che ai tempi non avevo afferrato pienamente.

La differenza fra muri e tele la si percepisce in diversi fattori: nella matericità del supporto, nella tecnica, poiché c’è la necessità di utilizzare vernici diverse, e soprattutto nel tempo: personalmente sono più riflessivo nelle tele, più impulsivo nei muri.

Difficoltà ulteriori non ne trovo: per quanto riguarda le dimensioni sono già abituato a dipingere ad olio su grandi tele.

 

C’è una serie di opere a cui sei particolarmente legato? Se si, perché?

Proprio le grandi tele sono i lavori a cui sono più affezionato. Specialmente alla serie Arcangeli, un progetto durato un anno.

 

Oggi sei uno dei più noti e stimati artisti del Pop Surrealismo, come ti sei avvicinato a questo movimento culturale e perché?

Sono capitato per caso nel mondo del popsurrealismo, non pensavo che la mia arte potesse farne parte.

È stata la partecipazione nel 2012 alla mostra “Stay Foolish” con la galleria romana Dorothy Circus, a farmi entrare in questa corrente. Sono stato invitato insieme ad i maggiori esponenti internazionali del popsurrealismo.

 

Quanto è importante l’ironia nelle tue opere?

L’ironia, l’instabilità, il controsenso, sono fattori importanti nel “telaio” dei miei lavori.

Senza questi optional li troverei vuoti, è sicuramente parte della loro anima.

 

Come scegli i soggetti delle tue tele?

Mi servo raramente di modelle, non lo faccio quasi mai.

Lavoro molto sullo sguardo, quello mi deve colpire, poi continuo a lavorare il resto d’istinto.

 

Molte tue opere sono corredate da grandi ed antiche cornici. Come nasce questo (perfettamente riuscito) sposalizio?

Mi capita di vedere una cornice particolare e pensarla con un mio dipinto dentro. Ecco, quando scelgo la cornice, il quadro è già fatto. È già nella mia testa.

Poi resta solo la “banale” esecuzione tecnica.

 

Cosa significa per te “fare arte” oggi?

Personalmente io “faccio arte” tutti i giorni. Questo è il mio primo comandamento.

L’arte è sofferenza, corredata da poche ma intense gioie. Deve essere vissuta sempre, non solo al sabato, alla domenica o nel tempo libero.

Ti è dentro la pelle, fa parte di te e non puoi farne a meno. 

Non puoi dire domani smetto.

Non lo si può dire, non lo si può fare.

 

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