
Con il tono sincero e genuino che la contraddistingue, Valeria Patrizi ci racconta come la maternità ha cambiato il modo di realizzare le sue opere: il soggetto singolo si è aperto all’Altro, facendo della tela uno spazio condiviso in cui si intrecciano legami silenziosi. Nel caso di Valeria Patrizi, come di altri, la produzione artistica non è scissa dall’esperienza individuale: le opere sono una proiezione diretta delle emozioni, dell’anima della pittrice, che lascia nelle sue tele un pezzetto di sé per donarlo a chiunque le osservi.
Potresti spiegarci se e come il fatto di diventare mamma abbia cambiato il tuo modo di fare arte?
Sì, assolutamente sì. Come in tutte le cose della mia vita, c'è un “prima” e un “dopo”. Sicuramente diventare mamma mi ha permesso di entrare in una nuova e profonda relazione con me stessa dove non esiste più soltanto l'IO ma esiste soprattutto l'ALTRO e di conseguenza l'altro con me. E' proprio questo il periodo in cui nelle mie tele sono comparsi gli animali insieme ai personaggi femminili. Per la prima volta nello spazio delle mie opere i soggetti diventano due e si crea una relazione unica fra i due elementi. Oltre a questo c'è da dire che percepisco cambiata anche la mia gestualità; parte fondamentale del mio lavoro e della mia pittura. I miei segni sono diventati più evanescenti e più leggeri ma di contro molto più sicuri. Le mie tele in questi ultimi anni hanno subito una sorta di eliminazione del superfluo e hanno prediletto la via dell'essenziale. Credo che tutto questo vada esattamente di pari passo a ciò che è necessario fare quando si è mamme, ovvero credere fermamente che la cosa fondamentale nel rapporto con i propri figli sia l'amore. Solo attraverso un moto d'amore (che non è sempre così scontato come si può pensare) è possibile crescere ed educare un bambino e renderlo una persona sana, libera e serena.
Se e in che modo coinvolgi tuo/a figlio/a nella tua attività? Cosa speri di trasmettergli/le attraverso il tuo lavoro?
Da quando è nato Giacomo ha sempre partecipato alle mie mostre. Ovviamente è stato sempre molto bello averlo accanto in questi momenti speciali ma ovviamente è stato sempre anche molto faticoso. Allattarlo, quando era molto piccolo, addormentarlo, tenerlo in braccio, accordarmi con il papà sulle pappine, i cambi o rincorrerlo da quando cammina non è certo la cosa più adatta da fare durante un vernissage. Ma ecco tutto questo ti rende più umano, più vero. Non separa più la vita professionale da quella privata e le rende una sola e unica sinfonia, forse un po' stonata ma intensa e speciale. Inoltre mio figlio adesso che ha tre anni ha capito perfettamente il lavoro che faccio ed è affascinato dalle mie costanti mani sporche, dal fatto che quello che per lui è una forma di gioco per me è l'occupazione quotidiana.
Come tuo/a figlio/a reagisce al tuo lavoro? Se è ancora piccolo/a, come immagini reagirebbe vedendo le tue opere?
Amo l'idea di potergli insegnare una forma di essere appassionati; credo che le passioni ci salvino sempre la vita. Amo l'idea di trasmettergli che con la perseveranza e il lavoro quotidiano è possibile raggiungere degli obiettivi e rendere reale un lavoro che apparentemente può apparire troppo complicato e a tratti anche un po' “strampalato”.
A mio figlio piace molto venire nel mio studio e si diverte soprattutto quando sulle mie tele ci sono dipinti gli animali. Per il resto credo che lo appassioni più di ogni altra cosa quando prendo chiodi e martello e appendo la tela al muro...mi sembra che sia la parte del lavoro che gli piace di più!
Un pensiero che dedicheresti alle mamme che acquistano una tua opera.
Mi piace molto l'idea di dedicare, più che un pensiero soltanto, tutte le mie opere alle donne che le guardano e che le incontrano. Donne che sono mamme anche se magari non hanno figli. Che sono mamme perché sanno accogliere, amare, condividere e donare.