
Come vivono i nostri artisti questo particolare momento? L’abbiamo chiesto a Silvia Trappa.
In quanto artista, come consideri il tuo ruolo all’interno della società? Quale valore dai alla tua professione?
Ho iniziato a pormi questa domanda anni fa, quando il mio fare è diventato il mio lavoro. Sentivo la necessità di avere un impatto diretto sulla società nella quale vivevo. In un primo momento quel desiderio mi ha portato a progettare laboratori per bambini, nella convinzione che certe esperienze infantili possano cambiare la visione del mondo che si avrà da grandi; poi ho cercato altri sguardi, altri modi di sentire e ho iniziato a lavorare con persone fragili. Tutto questo è diventato parte fondamentale del mio lavoro, che mi permette di dare, ma anche di ricevere tantissimo. Da quasi un anno molti di questi progetti sono fermi e la cosa mi ha toccato molto più di quello che potessi pensare.
Perché, secondo te, l’arte e la cultura vengono spesso relegate ad attività di second’ordine, inessenziali rispetto all’acquisto di un capo d’abbigliamento, di una messa in piega, di un mazzo di fiori?
Forse, come avete detto voi, noi italiani siamo quotidianamente immersi in un patrimonio artistico talmente vasto che lo diamo per scontato. Sicuramente c’è una lacuna scolastica importante: per poter apprezzare ciò che ci circonda è essenziale comprenderne il valore storico, culturale ed artistico e questa conoscenza credo sia venuta sempre meno.
Una domanda personale: qual è l’opera/l’artista che ha influenzato maggiormente il tuo percorso? Per quali ragioni?
Tempo fa avrei detto Constantin Brancusi, le cui opere per prime mi hanno portato alla scultura. Ora invece direi Bruno Munari, attraverso il suo lavoro ho imparato che un artista può essere e fare tante cose diverse senza venir meno all’integrità della propria ricerca, ma anzi sviluppandola in ambiti diversi. Un artista totale, la cui poetica non finisce mai di incantare.
Molte persone si tengono a distanza dall’arte perché la ritengono “incomprensibile”, cosa gli diresti per incoraggiarle ad avvicinarsi a questo mondo?
Ho sempre voluto che il mio lavoro arrivasse a tutti e per questo ho costruito un immaginario che può apparire leggero, ma che racconta concetti profondi e a volte critici. Anche per questo resto legata alla figura umana, che grazie alla sua riconoscibilità permette di instaurare un contatto diretto con chi si approccia alle mie opere.
Come vedi il futuro dell’arte? Secondo te la fine della pandemia segnerà un momento di rinascita della cultura o favorirà il declino dei valori più spirituali a favore del possesso di beni materiali?
Non nascondo di essere un poco preoccupata, il modo in cui il mondo dell’arte e dello spettacolo sono stati messi da parte non mi ha forse sorpreso, ma certamente ferito. A maggior ragione in un periodo di chiusura, dove, privati del mondo esterno, ci siamo nutriti di libri, musica, cinema e immagini per cercare di restare umani.